LIBRI – Giovanni Cordero racconta la vita dell’artista Pietro Augusto Cassina

di GIANNI MARIA TESSARI     intervista all’autore

 

Il nuovo romanzo di Giovanni Cordero intitolato “Luminosa polvere d’oro”, edito da Castelvecchi nel 2021, sviluppa la descrizione degli avvenimenti trattati, con una narrazione che mi sento di definire “storico-fantastica”. Narrazione storica perché reale è la vicenda su cui il racconto pone le sue basi, la vita dell’artista Pietro Augusto Cassina e fantastica per la capacità che Cordero ha avuto nel “tradurre” i documenti riguardanti la vita di Cassina immergendoli, a tratti, nei luoghi della mente vicini a quelli della fiaba, del fantastico: sono i luoghi dove “vivono” gli archetipi emotivi, dove l’immaginazione si “distrae” per alcuni attimi dalla realtà vissuta o ancora da vivere, per strutturarla dentro confini mentali che la rendano sopportabile, meno paurosa. L’iniziale citazione di un pensiero di Nietzsche scelta da Cordero è esplicita: “Ciò che non mi distrugge mi rende più forte”, soprattutto, aggiungo, usando la fantasia e l’arte. La vicenda è principalmente ambientata a Torino, ma si estende dentro il riformatorio Cesare Beccaria di Milano e all’interno del manicomio di Collegno. Il periodo storico parte dagli anni precedenti l’avvento del fascismo in Italia, giunge alla liberazione e prosegue negli anni della ricostruzione. Tripla “liberazione” per Pietro Cassina, che avviene prima con l’aiuto di un amico partigiano dal manicomio dove era rinchiuso, poi con il crollo del regime e in un terzo tempo con la raggiunta libertà interiore dell’artista. Giovanni, quali sono le fonti da cui hai tratto la narrazione sulla vita di Pietro Augusto Cassina, vuoi farne una sintesi e spiegare perché hai usato un linguaggio relativamente raffinato, non quello, probabilmente, più popolare usato da Cassina?Devo premettere che non ho avuto la fortuna di conoscere personalmente  Pietro Augusto Cassina, le notizie biografiche le ho desunte da una ventina di pagine del suo diario scritto in manicomio e da alcuni ricordi personali di coloro che l’hanno frequentato nei suoi ultimi trent’anni. Quindi ignoro quale fosse il suo linguaggio abituale nella quotidianità. In verità mi sono fortemente ispirato alla sua prosa diaristica e a un suo scritto in forma teatrale: “I malcreati” entrambi raccontano con un lessico immaginifico un processo di redenzione dal male al bene. La sua scrittura riflette la sua passione per i classici e per la cultura alta che ammirava e coltivava, da autodidatta. Inoltre il suo amore per Dante, di cui declamava a memoria alcuni canti, la frequentazione  di artisti e la passione per un collezionismo di libri e oggetti di antiquariato minore, acquistati per poche lire al mercato del Balon a Porta Palazzo, rivelavano una personalità sensibile, ispirata e romantica, ebbene, da tutto ciò ho dedotto che una sua caratteristica fosse anche l’uso di un vocabolario ricercato che poteva riflettere la sua personalità stravagante, eccentrica ma allo stesso tempo gentile, affabile e sottilmente ironica. Ho definito il tuo romanzo fluttuante tra realtà e fiaba, lo stesso titolo che hai scelto me lo ha suggerito, perché ho percepito alcuni personaggi “reali” del racconto, il padre padrone, suor Antida, Vittorio l’eroe amico partigiano, l’amica e modella Annalisa, acquistare i valori degli archetipi fondanti, appunto, la fiaba: il bene e il male, la fata e l’orco. Il tuo, come tu hai sottolineato, è un racconto di “redenzione” con un “lieto fine”. Marie-Louise von Franz ne sarebbe compiaciuta. Marie Louise von Franz collaboratrice di Carl G. Jung nei suoi saggi ci ha spiegato quanti tesori di saggezza sono racchiusi nelle fiabe, nei racconti popolari, nelle leggende e nelle favole, nei sogni, nei miti, nell’immaginazione libera del folclore, ognuno a suo modo impegna l’uomo nelle zone più profonde del suo essere e ne racconta miserie e grandezze registrate in una psiche collettiva. Quindi nel mio romanzo ho voluto portare sottotraccia quella presa di coscienza che spinge il protagonista ad analizzare il suo percorso esistenziale perennemente in fuga, a interrogarsi sul significato della sua vita e a proporre personali ipotesi interpretative. Cassina, immerso nella sua “follia” viene immerso in una follia sociale (questa veramente reale!) ben più cattiva e violenta. Riesce a superare questa parte della sua vita attraverso il “fantastico” religioso e con la fantasia dell’arte ma ne rifiuta gli onori … Per certi versi Cassina si salva dalle follie del secolo breve e dai suoi orrori e distruzioni, in quanto si affida a quel grande sistema di cura dell’anima qual’è l’esperienza religiosa che esorta all’amore per il prossimo, ma si raccomanda che sia un amore che si accompagni al giudizio e al rispetto. E in ultimo ma non per ultimo individua nell’attività artistica il vero balsamo per le ferite esistenziali. Poi si sa, gli onori, gli applausi, gli elogi sono spesse volte compagni di strada falsi e menzogneri, Cassina ci insegna a individuali e a evitarli. Gli onori falsi e menzogneri spesso lo sono. E forse Pietro Augusto Cassina ha avuto ragione nell’evitarli; anche se non sono così sicuro siano sempre da evitare. Certo è che questa sua scelta ha tolto a molti di noi la possibilità di una potente riflessione sulla vita espressa nelle sue opere; nello stesso tempo, la sua, è stata una scelta (forse pura?) altrettanto fortemente comunicativa. Molto altro affronta il tuo romanzo attraversando la vita di Cassina ma che può toccare la vita di tutti. Ad esempio, cito testualmente: “[…] Anche l’amore fra ragazzini può essere vero e profondo, puro e prezioso, anche poetico […]”, un argomento questo disturbante gli adulti, per paura o morbosità. Non bisogna mai avere paura dell’amore né pensare che sia portatore di dinamiche morbose o socialmente pericolose. Il sentimento dell’amore è un insieme complesso di comportamenti che sono universali e pan-culturali, essi vanno dall’affetto alla cura,  dalla compassione alla vicinanza dell’altro, dal desiderio di volere il bene degli altri senza attenderci nulla in cambio alla tenerezza che suscita in noi l’attenzione per  il nostro benessere. E’ un arpeggio di emozioni, sensazioni, comportamenti e atteggiamenti con una tale ampiezza di significati che mi rende difficile definirlo in un unico modo. Nel mio romanzo quando parlo di amore fra adolescenti in una situazione di violenza, di isolamento, di segregazione e di ambiente ostile, in un luogo tetro come il riformatorio Cesare Beccaria, connotato  da un deserto affettivo ebbene sono convinto che proprio in quel contesto possa anche manifestarsi la necessità di instaurare uno scambio emotivo che si può esprimere con baci, carezze e abbracci fra coetanei, una premurosa attenzione che facilita la relazione interpersonale nella comunità dei pari, basata sulla stima reciproca, sulla fiducia incondizionata. Una ricerca di unità anche fisica con chi vive una situazione di isolamento, in una situazione di segregazione. Penso sia una necessità psicologica naturale sperimentare una forma di attaccamento verso chi ti protegge e si impegna con lealtà a difenderti dai soprusi dei superiori e dalle prepotenze dei bulli. Dunque l’eterna poesia dell’amore può sbocciare anche in un carcere minorile e avere persino la facoltà di diventare un elemento educante, una componente formativa dell’adulto. La base della solidarietà , dell’aiuto reciproco, che potrà trasformarsi nel sostegno e nell’impegno civico poi in età matura, forme anch’esse di amore per la società umana. Nel 2020 hai curato una mostra personale di Pietro Augusto Cassina presso il Museo Diocesano di Torino, che tipo di pittura è la sua e quali sono i suoi temi ricorrenti? Sfatiamo subito un dubbio che potrebbe essere ragionevole e facilmente comprensibile visto i suoi numerosi anni passati in carcere e in manicomio. La sua non è arte di denuncia sociale, né tanto meno “Art Brut” quali sono le opere spontanee senza pretese culturali e senza alcuna riflessione, realizzate da artisti dilettanti ricoverati negli ospedali psichiatrici e che operano oltre le norme estetiche classiche convenzionali. Possiamo invece ascrivere la sua tavolozza a un espressionismo “post impressionista” connotata da una descrittività allusiva che l’artista ha riportato sia nei suoi ritratti sia quando ha effettuato una riduzione all’essenzialità nel tratteggiare i paesaggi e nel raccontare le nature morte, in una mescolanza di reale e immaginario. Sono quadri dipinti con colori accesi e una pennellata fluida e impetuosa.

 Giovanni Cordero. Psicologo e critico d’arte, vive e lavora a Torino. Ha pubblicato Silenzi, il destino alle 18 (2012); il racconto lungo Il velo da sposa, per l’antologia Il gusto del Piemonte (2012); L’albero dei gatti (2017) con il quale si classifica al secondo posto al Premio Pannunzio dello stesso anno; L’impronta di cioccolato (2019), vincitore del Premio Nazionale Mario Soldati nel 2020.

Per informazioni: giovannifrancescocordero@gmail.com

in alto – la copertina del libro    sotto – una immagine di Giovanni Cordero

 

    

2 commenti su “LIBRI – Giovanni Cordero racconta la vita dell’artista Pietro Augusto Cassina”

  1. Sandro Cumino

    Io avevo negozio in cs Vercelli e Cassina abitava in una soffitta alle spalle. Centinaia di volte l’ho visto passeggiare davanti al negozio vestito con turbante e caffetano,così siamo entrati in amicizia.Per il negozio,trattandosi di macelleria mi aveva dipinto “Il bue squartato”copia del Rembrant sovente gli facevo scorrere qualcosa di carne e lui mi ripagata con l’amicizia. Personaggio fantastico.

    1. L’ho conosciuto nel 1970 e frequentato fino alla sua scomparsa . Gran bella persona e autentico Artista Di lui ho moltissimi ricordi che vanno dalle prime mostre da noi organizzate , al fine di divulgarlo e tanto altro . La sua vita è stata un romanzo , la sua Arte una chicca per abili fruitori .

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