VISTO DA NOI – “Uno, nessuno e centomila”

Il Pirandello perfetto nella messa in scena diretta da Capodici. Pippo Pattavina e Marianella Bargilli veri mattatori con due prove di grande qualità

 

sopra, un’immagine dello spettacolo – foto di Tommaso Le Pera          C’è sempre del rischio quando si va ad affrontare Luigi Pirandello proprio per le sue tematiche psicologiche approfondite, le variazioni enigmatiche alle quali bisogna essere sempre pronti  nei suoi testi, e in forma. Cose che abbiamo sicuramente visto al teatro Comunale di Vicenza, con enorme piacere, nello spettacolo “Uno, nessuno e centomila”, una produzione ABC Produzioni e ATA Carlentini, diretto da Antonello Capodici, regista, con protagonisti l’inossidabile e sempre più ammaliante Pippo Pattavina e la sua compagna di scena Marianella Bargilli, sempre più convincente in una prova senza nessuna minima sbavatura. Detto con sincera ammirazione per i due, e per gli altri tre loro compagni di lavoro, Rosario Minardi, Giampaolo Romania e Mario Opinato che hanno saputo creare una girandola emozionale manco fossero una quindicina su quel palcoscenico vicentino…Il testo è una divertente e ancor più attenta commedia sull’apparire e l’essere, e sull’individuo stesso nelle mille sfaccettature che prontamente assume a seconda delle diverse situazioni o dei diversi punti di vista. Partendo da un banale accorgimento di Dida, la moglie di Vitangelo Moscardo detto Gengè, a suo marito, sulla pendenza del naso, la storia si dipana magistralmente ed è ben raccolta da tutta la compagnia, svelando numerose aperture mentali in una messa in scena che se non è perfetta poco ci manca. E’ vero teatro, ancora una volta, fortunatamente, saranno pur poche ma sempre buone quando si trovano queste messe in scena capaci, rispettose, che “investono” lo spettatore non tralasciando nulla. Il linguaggio drammaturgico scava sull’uno e trino di Moscarda, la propria personalità e quella vista da altri, moglie compresa. Si perde la testa letteralmente fino a impazzire se non ci si capisce più da soli o con l’ausilio degli altri, ma Moscarda questo non lo tocca, sicuro com’è del suo stato e dei differenti punti di vista. L’osservazione della bella Dida stimola inconsapevolmente ma non del tutto la profonda visione di Moscarda, pronto a cogliere occasione e a sistemare, per dire, la chiara visione della non unicità dell’umano, e a  “investire” su un nuovo Io, riscattando la nomea poco raccomandabile di usuraio. Qui e là affondano colpi sottostimati, non percepiti subito, di personaggi che rendono noto a chi si mette ad osservarli, appunto il signor Vitangelo, i vari modi d’essere, le maschere e i volti, e chi si vuol divertire si diverta. Certezze che vengono a mancare dunque, ma dall’altro lato sicurezze acquisite delle sfaccettature continue dell’uomo, come solo Pirandello (e magari Luigi Perelli, ecco) han saputo scrivere. Doppi, tripli ruoli agli occhi di chi vede, guarda, altrettante soggettive analisi, che vanno ognuno per suo conto anche se si è sempre la stessa persona. Ma alla stessa maniera anche no, infatti, perchè la stessa persona non sembra esserci mai, non c’è. Passano così sfilate di personaggi vari e presunti tali, amicizie e conoscenze di Moscarda, soci, amanti (ma poi, vere?) e lui sta sempre a guardare, a osservare, addirittura a divertirsi. Uno perchè essenza, nessuno quando si annullano tutti i propri io, centomila al contrario, quando si amplificano ai diversi e numerosi occhi degli altri. Lo spettacolo è molto bello, dicevamo, e rasenta la perfezione teatrale finalmente ritornata dopo anni e anni in auge, quando la si vede naturalmente. Come in questa occasione appunto, dove tutto funziona: Le musiche di Mario Incudine ingranano da subito, contornano i quadri dandogli miglioria, la bella scena di Salvo Mangiagli riporta i differenti angoli del racconto, dalla camera da letto agli uffici, con porte scorrevoli di grandi dimensioni che svelano e nascondono, la recitazione del gruppo è affiatata e da manuale. I due protagonisti la vincono ancora, dopo i trionfi siciliani e nazionali, come al QUirino di Roma, ben noti: Pattavina si conferma maestro di recitazione, la Bargilli dosa sobriamente (ecco uno dei segreti dello spettacolo, che ben si vede) i suoi tre personaggi, amabile, seducente ma anche lucida e badante al sodo. Il pubblico, molto folto, trova dunque dinanzi a sè un equilibrio tecnico di grande spessore, una storia che si elabora man mano con grande partecipazione, una riflessione niente male, e giustamente applaude con calore e a lungo.

FRANCESCO BETTIN

 

 

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