TEATRO – A Todi “Acqua viva”

Elena Arvigo stasera, 2 settembre, al Todi Off Festival, “Acqua viva” epistolario d’amore all’esistenza e allo scrivere

 

Il festival di Todi è certamente una di quelle realtà che se non si conoscono vanno scoperte e frequentate. Una delle occasioni ad esempio è senza dubbio lo spettacolo di e con Elena Arvigo, che torna in scena al Todi Off Festival con “Acqua viva: provando a cogliere la quarta dimensione dell’istante che da quanto è fuggevole già non è più.” Lo spettacolo è tratto da “Água viva “ di Clarice Lispector e va in scena stasera, giovedì 2 settembre alle 19 al Teatro Nido dell’Aquila (ingresso libero con prenotazione obbligatoria) in un allestimento scenico di Elena Arvigo con la produzione SantaRitaTeatro e Atlantide 2.0.2.1.  “Non so perché ho raccontato questa storia. Avrei potuto benissimo raccontarne un’altra. Anime vive, vedrete come si assomigliano tutte” (Samuel Beckett, “Lo sfrattato”) . Dunque Elena Arvigo torna in scena al Teatro Nido dell’Aquila, nell’ambito del festival umbro con un flusso di coscienza estremo tratto dal racconto della scrittrice ucraina naturalizzata brasiliana Clarice Lispector.  “Acqua viva” è una lettera d’amore alla vita e alla scrittura; è una confessione e una promessa: “Ti scrivo perché non mi comprendo. Ma continuo a seguirmi”. Sono le tre di notte. È fine estate. In una camera “fosforescente di silenzio”, con una finestra e una tenda strappata, entra la luce della luna piena e una donna “caleidoscopica”, una pittrice, entra  in un flusso di coscienza: sogni, ricordi e ombrelli aperti, le piccole persone care a Clarice, cani e gatti, quello che c’è ma che non si vede: “La cosa che più mi emoziona è che ciò che non vedo esiste lo stesso. Perché così ho ai miei piedi tutto un mondo sconosciuto che esiste pieno e denso e ricco di saliva”. Questo fiume in piena di parole è la possibilità di dar voce al corpo o di parlare attraverso di esso. Acqua viva è una corrente: “Ti scrivo in disordine, lo so bene. Ma è come vivo. Lavoro solo con oggetti smarriti e ritrovati”. Clarice, di fronte a un potere che reprime ogni libertà di parlare in difesa degli oppressi, si sposta, o meglio, nella bella definizione di Roland Barthes , “se déplace ”, si pone “là dove non è attesa”. E questo luogo inaspettato è costituito, dalla scrittura come esilio e come testimonianza: una lingua che sembra inventare continuamente se stessa in un assolo ammaliante e incantato.
È questo, di fatto, il compito penoso della letteratura in tempi di repressione: l’obbligo di “costruire tutta una voce” per dare corpo e significato – nello straniamento e nella negazione di sé – alla mutezza degli esclusi, di coloro che non hanno accesso al linguaggio. Con la speciale grazia del suo spirito indisciplinato, la scrittrice intreccia riflessione morale e finezza letteraria e, per farlo, si serve di uno sguardo che sa entrare nell’intimità delle persone, togliendo con impudicizia le incrostazioni, smascherando l’aspetto convenzionale della vita per arrivare all’origine dell’istinto vitale”_ annota Elena Arvigo. Clarice scrive “Voglio avere la libertà di dire cose senza nesso”. E un interrogarsi incessantemente sulle possibilità del linguaggio, una bella prova anche per la brava attrice genovese, sicuramente una delle più interessanti interpreti della sua generazione.  “Non voglio avere la limitazione terribile di chi vive soltanto di quanto può avere senso. Io no: io voglio una verità inventata.”, così afferma la protagonista. Lo spettacolo è nato nell’ambito della ricerca artistica di Atlantide 2.0.2.1., luogo indipendente, contenitore di progetti artistici di qualità, da attenzionare e seguire.

 

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