POESIA – Mirko Cremasco

Il poeta e il suo spirito inquieto: Mirko Cremasco

 

Nato a Vicenza, Mirko Cremasco è uno “spirito” inquieto. Vive il suo tempo strappato da un altro che gli apparteneva, in un vapore di parole a volte sospese e leggere a volte pesanti, ustionanti l’anima. Coglie la leggerezza del vivere non come superficiale quotidianità, ma come impossibilità a trattenere la materia, che come un’onda d’oceano lo avvolge e subito dopo si ritrae lasciandolo “nudo” nella potente percezione della sua interiorità senza confini. Una visione di un infinito irraggiungibile che può destabilizzare. Vive nel calore forte del presente che contemporaneamente appercepisce in una dimensione lontana, forse trascendente; quale errore (peccato) ha commesso se, Mirko mi dice, riecheggiando una sua poesia, “La collera di dio mi insegue, come una preda”? La sua vita, la sua poesia, quasi ricorda una espiazione colma di malinconia, ancora Cremasco afferma, “La polvere lavora silenziosamente e ci copre come una sindone fatta d’universo infinito”. Un desiderio di vita intenso il suo, sensuale, che irrompe in esplosioni poetiche pulsanti, “Mi affaccio sul cortile, e vedo il mondo, i continenti, vivo il loro cadere nel sesso con un turbamento di carne” e in azioni di vita reale che, forse, mai riescono a staccarsi dalla percezione della fine del tempo. Tutto viene bagnato, lavato via da piogge emozionali intermittenti. La poesia di Cremasco, contiene elementi riconducibili a certa poesia romantica, anche decadente, ma da questi contesti poetici (e di vita) si stacca nettamente con la forza del suo realismo. Non scivola mai su una banale lamentazione o visione onirica, o eroica, che offuschi il senso della materia vissuta, anzi la sottolinea, la colora e la rende musicale, con parole che non si arrendono alla malinconia o all’assenza di un “qualcosa”, forse una essenza, un luogo, percepiti nascendo, e mai più ritrovati (appartengono a un’altra dimensione?). Mirko Cremasco allunga una mano per afferrare quel “qualcosa”, ma solo lo sfiora, perché quel “qualcosa” scivola sempre un po’ più in là.
Eppure riesce ugualmente a donarcelo, spesso accompagnato da un sorriso distorto dal vetro del bicchiere colmo di vino, assenzio contemporaneo, simbolo del dionisiaco che lo pervade; come per Artaud, le “titillazioni” della Vita lo afferrano e lo costringono stretto a loro. Insieme a noi brinda ai nostri corpi, poche briciole di infinito, ciò che importa è che siano la condivisione di una umanità che non lo “obblighi”, non lo incateni, “Fossimo come dovremmo essere senza la frenesia dell’illusione. Ci basterebbe sentire la vita […]”. Profondamente libero, si muove tra vincoli di carne e catene fatte di ossa, di orari da “rispettare”, di lavoro inevitabile, frutto di una struttura sociale che non può permettersi di frantumare, anche se spesso ignora il richiamo del suo telefono cellulare. Non può fuggire da sé a dagli altri, rivela di sé, “Ho tradito un sogno, la fuga, l’ho spento e coperto con pietre fatte d’angoscia”. Così crea una poesia contagiosa, virale, una poesia che si “appiccica” al cuore, alla carne; capace di aprire ferite fatte di ricordi, quelli perduti, con la quale tenta di eludere il Tempo o per lo meno prova a elasticizzarlo. Si salva e ci salva con l’ironia, finge una morte come solo i gatti al sole sanno fare. I gatti hanno sette vite, il poeta molte di più, non importa se felici o dolorose, non sono mai insulse. Ho affermato che Cremasco rende la materia, e intendevo soprattutto quella poetica, colorata e musicale. Di fatto, le sue letture pubbliche sono spesso accompagnate dalle sonorità eseguite di amici musicisti in uno scenario composto da opere di amici artisti, (tra gli altri cito, Gastone Guerra e Bobo Righi)…. Una scelta, questa, che conferma il suo essere “solo” e contemporaneamente “legato” alle persone che “riempiono” la sua vita. Musica e opere visive, mi sembra, diventino specchio per se stesso, più che una integrazione alle sue parole poetiche. Cooperanti lo sono di certo nel superare la difficoltà, per chi non ha dimestichezza con la poesia, nel comprendere il significato profondo del suo lavoro poetico. Mirko Cremasco, idealmente zingaro, scrive e opera, forse suo malgrado, qualche volta scalciando, isolandosi o intorpidendosi, in sincronia o diacronia con il mondo che lo circonda, amando profondamente carne e sogni. Ricordo alcune sue pubblicazioni ed eventi: nel 2015, “A colpi lenti di remo”, collana di quaderni La Vencedora (progetto di Stefano Strazzabosco) e la plaquette “Fuochi”, Ed. Pulcinoelefante di Alberto Casiraghi. Con il gruppo DER RUF ha partecipato nel 2017 al primo festival internazionale di poesia La Houle des Mots a Saint Jacut de la Mer in Bretagna con il libro installazione “Mareé”. Con la fotografa Cristina Maselli pubblica nell’aprile 2019 la plaquette d’artista “Peccati (per Vie Oscure)”, stampata presso l’Officina d’arte contemporanea dal maestro incisore Giovanni Turria, e una edizione (tiratura limitata) di poesie inedite “Luoghi SOSpesi” con fotografie originali della Maselli, cura e introduzione di Marzia Zanella.

Gianni Maria Tessari

Per ulteriori informazioni: https://mirkocremasco.wordpress.com/tag/mirko-cremasco/

Le poesie qui sotto pubblicate, sono inedite, sono un omaggio al poeta Alberto Cairo, uno degli eteronimi di Fernando Pessoa e sono state ispirate dai lavori artistici di Daniele Monarca, artista e libraio.

Il senso occulto delle rose (quattro movimenti per dodici versi)

I
Fossimo come dovremmo essere
senza la frenesia dell’illusione.
Ci basterebbe sentire
la vita con chiarezza
senza preoccuparci dei sensi
in questo giorno eccessivamente nitido.
Alla fine si torna dai campi la sera,
il sole cala sempre puntuale
ci saluta con le ultime dita.
Sul melograno rimane l’oblio di un fiore.
nulla conta
se non il senso occulto delle rose.

II
Se ti scrivo del senso occulto delle cose,
intendo rievocare leggende alla deriva
come tronchi d’albero lungo il fiume,
il suo antico greto sepolto dai detriti
dove si adagiavano le acque
sui sogni bugiardi dei poeti
accarezzando nello sbando dio
se esiste, e il suo infinito.
Tutto è esistenza.
Resistenza
dissolvenza in attesa di sentenza.

III
Rido come un uccello

che si nasconde in un rifugio verde
e fra i rami mi guardo all’imbrunire
di una sera quasi estiva
intento allo sfalcio dell’erba.
Altro non possiamo fare
che guardarci di sottecchi
distratti infine dal volo
di una farfalla senza odore,
formalina che la condannava
fra le pagine del libro.
​Un’immobile bellezza per l’eternità.

IV
Le rose sulle scale non sono nostre
appartengono a un altro amore.
Una storia uscita dalla memoria
e la vampa a ogni maggio si ripropone.
Senza pietà.
“ Conta i fiori se vuoi sentirti utile,
annotali a uno a uno, non dimenticare”.
Come non dimentic0 i versi di Will
quattro secoli di eternità
declamati con la maschera
come in un teatro nella Grecia antica.
Erano per me?
—–
Nulla, nulla conta
se non il senso occulto delle rose.

 

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