ARTE – Živko Marušič

Gli occhi di fuoco della pittura

 

Il lavoro di Živko Marušič incarna l’apice della pittura slovena, di impianto narrativo, per almeno tre decenni, a partire da quella riscossa della pittura che Achille Bonito Oliva teorizzò con il nome di Transavanguardia e che proprio in questo periodo di lockdown persistente gli “Amarcord” di Giancarlo Politi stanno riproponendo alla nostra attenzione. Tuttavia, essere all’apice per almeno tre decenni  di tutto un ribollire culturale, non vuol dire che oggi l’autore abbia esaurito la sua spinta emozionale e propositiva, vuol solo sottolineare il cambiamento dello Zeitgeist e che “l’onda liscia” di questo momento storico si sta rivolgendo piuttosto verso altre proposte, anche ammantate da molta tecnologia o di sociologia spicciola. La pittura di Živko è invece una sintetica modalità del suo modo di procedere e di affrontare la vita quotidiana: appunto su appunto, segno su segno, colore su colore, fino ad arrivare all’opera definitiva, ovvero all’immaginifico codificato dal lavoro lento e stratificato del pigmento. La varietà dei temi trattati, la potenza del segno e della figura che prende corpo sulla superficie cartacea o della tela, la forza vigorosa del colore sono tutti elementi che rendono il suo mondo davvero coinvolgente e accattivante. Non va peraltro dimenticata la particolare ironia che l’autore mette in ogni immagine o nei suoi titoli, elementi questi due che sono anche ritratto perfetto del suo carattere non molto facile, sempre molto diretto e scontroso, un po’ rustico e poco accomodante e pure pieno di significati multipli. Volendo riferirci a una citazione dotta, potremmo parlare di “scontrosa grazia”. Comunque, la grandezza in ambito pittorico di questo autore la si riscontra in maniera facile pensando al fatto che riesce a dare vita in maniera egregia non solo a quelli che potremmo definire quadri di storia (pertanto, secondo una terminologia antica, legati a una molteplicità di figure umane), ma che si ingegna per dare poeticità anche ai pomodori, alle melanzane, alle patate, ai funghi e a quant’altro capiti sotto la presa diretta del suo sguardo. Parlando della pittura di Marušič, e dell’importanza che ha rivestito per la Nuova Immagine Slovena, non possiamo non ricordare anche il ruolo svolto da Toni Biloslav e Andrej Medved, come animatori delle Gallerie Costiere di Pirano e Capodistria, i quali seppero, negli anni che correvano verso il tramonto dello stato jugoslavo, allacciare rapporti con l’Occidente “capitalista”, istituendo un dialogo e uno scambio proficuo di nomi e di mostre. Il che indica come la volontà delle persone spesso riesce a modificare il corso degli eventi e a imprimere una svolta anche contro il pensiero dominante che all’epoca, in Jugoslavia, era ancora di tipo statalista. Ecco, poche persone seppero aprirsi a un dialogo, abbattendo anzitempo le barriere ideologiche e doganali che all’epoca segnavano il confine non solo tra Italia Jugoslavia, ma anche, più in generale, tra Est e Ovest. Ecco, in questo senso, Marušič è stato un grande punto di riferimento di questa svolta e di queste scelte, e la mostra che l’autore propose, nel 1982, al Centro La Cappella di Trieste, con tele di due metri di lunghezza, portate arrotolate e in barba a qualsiasi dogana, fu l’apice di una svolta che anticipò di alcuni anni il crollo di un confine ormai del tutto anacronistico. Incontriamo l’autore, nella sua abitazione di Capodistria, per scambiare qualche frase.

Come vivi nel tempo del Covid? La mia giornata (citando Jacopo Pontormo) è così modulata: all’alba mi rinfresco e preparo la colazione per una lunga ora    –  così il tempo scorre con la sua inesorabile lentezza. Sorseggiando il caffè e sbocconcellando il pane tostato osservo il soffitto e penso a ciò che poi cucinerò per pranzo. Dopo aver cucinato e mangiato una seconda  volta, verso le ore 13.00 do una sbirciatina nello studio e mi butto sul  divano e mi domando: “ce la faccio o non ce la faccio a restare nello studio?” Pensandoci, resto nello studio e dipingo. È così avanti in un inesorabile ciclo vizioso…

Quindi vedi poche persone e pensare alla programmazione di una qualche mostra è quasi impossibile… No, al contrario, ci sono parecchie mostre in programma, quasi più di prima, proprio perché per combattere la sofferenza c’è bisogno di sognare. La differenza consiste nel modo in cui una mostra si svolge: durante il lockdown è virtuale, quando i numeri degli infetti si abbassa invece la mostra sta in piedi, però senza vernissage. L’ultima mostra si è chiusa nel mese di aprile, alla galleria Equrna di Lubiana, un po’ virtuale, un po’ reale. Si trattava di una collettiva curata da Nina Jeza, dal titolo “Natura morta”, ed è stata molto visitata.

Il mondo è stato stravolto da questa epidemia: pensi che quando tutto questo sarà finito ci saranno dei cambiamenti anche all’interno del mondo artistico?  Il Covid-19 ha fatto un gran favore a noi anime solitarie, e penso che quando tutto sarà finito, a mio parere tra un paio di anni, saremo ormai tanto abituati al web che le gallerie potranno anche chiudere, oppure sarà l’esatto contrario: del web saremo talmente stanchi che socializzeremo di più, andando alle mostre… ma a essere sincero ne dubito.

Ci sono autori con i quali intrattieni dei rapporti di lavoro o scambio di opinioni o collaborazioni? Già prima ero poco socievole e la gente non mi piaceva, pensa adesso…

A ogni buon conto, il tuo lavoro pittorico procede, e tu continui a macinare quadri su quadri… come fanno poi a trovare una strada nel mondo? Ho trovato un’amica che mi aiuta con le vendite tramite il web, Artists & Poors. In questo modo le mie opere trovano casa.                                                                                               

Tu sei un campione della pittura degli anni Ottanta. Hai incarnato la rinascita della Nuova pittura slovena e sei stato una specie di luce culturale, in un periodo in cui ancora c’era uno stato chiamato Jugoslavia e la cortina di ferro si faceva ancora sentire. C’è qualche ricordo che ami riesumare di quegli anni gloriosi?      Nemmeno uno.                                                                                                                      

Credi che il tuo lavoro sia stato pienamente riconosciuto oppure da parte delle istituzioni slovene o c’è stata troppa disattenzione? Per esempio penso che ogni museo sloveno dovrebbe avere tue opere storiche in collezione, e dovrebbe fare a gare per chiederti di poter fare una tua mostra, mentre mi sembra che ci sia una certa disaffezione per quel periodo storico così significativo…Forse i tempi non erano ancora maturi?  Le istituzioni slovene sono come una larva che cerca cibo, e quando lo vede scappa, perché è titubante e teme sia difettoso o scaduto.

Per informazioni:  juliet-artmagazine.com

Roberto Vidali

sopra,“Nottambula” 1994, pigmenti a olio e cera su tela, 247 x 35,7 cm, collezione privata

sotto,“War” 1983, pigmenti a olio su tela, 34,5 x 58 cm, ph Fabio Rinaldi, courtesy Archivio A.C.

 

ancora sotto, Sebastiana” 1997, pigmenti a olio e cera su tela, 255 x 146,5 cm, courtesy Janez Škrabec e El Destino” 1997, pigmenti a olio e cera su tela, 245,5 x 148 cm, collezione privata

       

 

sotto, “The Whore Reflecting her Shadow” 2012, pigmenti a olio e cera su tela, 200 x 300 cm, collezione privata

 

per finire, sotto,”Talking” 2021, 247 x 132 cm, pigmenti a olio e cera su tela, proprietà dell’artista

 

 

 

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