NOSTRA INTERVISTA – Simona Cavallari

Simona Cavallari ha un fascino misterioso e romantico allo stesso tempo, una personalità unica che fa di lei un’attrice che già nell’aspetto esteriore trasmette introspezione, enigma, fascinazione.

La sua esperienza in numerose fiction tv, (ricordate “La piovra” ?) e nel cinema ci ha sempre portato l’immagine di una teenager, che ora è una splendida donna e può solo rafforzare quelle caratteristiche, con la bravura che si ritrova, frutto di studio ed impegno. Anche a teatro l’attrice romana la si è vista in parecchi spettacoli, dove spicca sempre con la sua raffinatezza d’interprete che sa quel che vuole esprimere, e lo fa con grande incisività. In questo periodo, come tutti i suoi colleghi, e non solo, è stata fermata per cause di forza maggiore perché i teatri sono stati chiusi per il Coronavirus, con la speranza che si possa riprendere al più presto. L’abbiamo incontrata a Thiene (Vicenza), in una delle tappe della tournée di una commedia che sta avendo gran successo in queste ultime stagioni.

Hai recitato da poco al teatro Comunale di Thiene per tre repliche, dopo hai sospeso lo spettacolo per via del Covid, la commedia “Mi amavi ancora” di Florian Zeller. Che pubblico hai trovato e cosa hai amato di più di quel personaggio, Anne? Il pubblico thienese è stato molto generoso, e lo ringrazio per questo. E’ stato bello vedere che la commedia è piaciuta, infatti è tre anni che la riprendiamo proprio per questo. Il mio personaggio? Intanto partiamo dal testo, scritto da un grande autore e sceneggiatore, che trovo geniale. Anne l’ho amata in toto, i suoi sentimenti mi hanno dato molto, ed è stato un peccato interrompere la ripresa teatrale per la seconda ondata di emergenza sanitaria, perché ormai siamo collaudatissimi e lo spettacolo cresce continuamente. Adesso riprenderemo forse ad aprile con qualche data, speriamo di riuscire a portarlo ancora un po’ in giro.

Ma Anne appunto, che cerca una verità che forse non troverà mai realmente non si fa del male? Io amo i personaggi tormentati e difficili, sono i più belli da interpretare e portare in teatro. E comunque lei, si’, non è certo una persona serena.

CON ETTORE BASSI, DALLA COMMEDIA “MI AMAVI ANCORA”. FOTO DI IGNACIO MARIA COCIA

Ci vuole estro, follia o cos’altro per fare la vita dell’attrice? Di sicuro ci vuole una bella dose di coraggio perché ci si mette sempre in gioco, e si racconta sempre una parte di se stessi, sia quella che si conosce che l’altra più in disparte, ma è molto bello avere emozioni, è impagabile. E le stesse portano ansia, adrenalina, ma in positivo. Un’attore può recitare per anni ma la grande emozione c’è sempre, rimane lì assieme a te.

E il girare di continuo di città in città non è faticoso? Fare l’attrice ha anche dei lati molto positivi? E’ vero che a un mio nemico non la consiglierei una vita così, ma quello che di più mi pesa è il fatto che quello che si fa dipende sempre da altri, non puoi decidere niente in prima persona, e questa è una dipendenza importante. Non sei come un musicista, faccio un esempio, che si chiude nella sua stanza e scrive, compone, elabora. E’ pesante davvero dover dipendere dagli altri.

Uno dei personaggi interpretati al quale sei più legata? Ti ricordiamo tutti nella “Piovra” con Placido, ma anche in “Squadra Antimafia” e “Le mani dentro la città”, dove facevi rispettivamente Claudia Mares e Viola Mantovani, icone della giustizia. No, non ce n’è uno in particolare, fanno tutti parte del mio bagaglio e tutti mi hanno dato qualcosa. Anche i personaggi che sembrano meno importanti in apparenza certe volte lasciano le stesse cose, anche se, magari, è più reale che forse è l’ultimo dei personaggi fatti quello a cui sei più legata in qualche modo, lo si sente più vicino, naturalmente.

Vedremo mai Simona Cavallari passare dietro la macchina da presa? Per adesso mi sento di dire di no, è un salto che per ora appunto non sento di fare. Invece, avendo dei figli adolescenti, mi sarebbe piaciuto cominciare a insegnare recitazione ai più giovani e anche ai bambini, prima di questa pandemia che ha reso impossibile i contatti. Quello era il mio sogno, chissà che presto si possa realizzare.

Quindi potresti metterla in pratica appena possibile, appena si torna a una discreta normalità almeno, o no? Certo, speriamo che questa situazione prima o poi passi, allora si’!

Quanto conta l’esperienza per chi recita? Parecchio, sicuramente, poi quelle che formano di più sono quasi sempre le più negative. Ma è la vita che è così, c’è poco da fare e queste difficoltà anche se delle volte sono dure da superare la rendono più interessante. La felicità è davvero solo una questione di pochi attimi.

Hai lavorato al cinema anche con registi di grande impegno, come Damiani e Bellocchio. Con quest’ultimo, ad esempio, come ti sei trovata? Marco Bellocchio è un regista che ama molto gli attori, ne ha un enorme rispetto e per me quella de “Il sogno della farfalla” è stata un’ottima esperienza. Devo ringraziare la sua aiuto regista per aver insistito con lui, perché mi vedeva come un’attrice troppo legata alla televisione, e solo dopo il provino è andata bene. Mi piacerebbe molto comunque poter recitare ancora con registi così, questo è sicuro.

Ma in fondo come lo consideri questo mestiere dell’attrice? E’ un lavoro che può annientare la propria personalità? Penso abbiano ragione i francesi, che dicono jouer, giocare, anche se quando si interpretano alcuni personaggi dalla forte personalità ci si porta sicuramente dentro un grosso carico emotivo. E’ un lavoro però per il quale bisogna avere un punto di vista un po’ distaccato, con leggerezza.

Lo spettacolo come è arrivato nella tua vita? Era una meta che ti eri fissata? No, è stato un caso. Io avrei voluto essere una ballerina classica, ma è stato un amico di famiglia che faceva il regista pubblicitario che mi ha fatto esordire, già nei primi anni delle scuole elementari. Poi sono andata avanti, è partito tutto così.

Francesco Bettin

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