NOSTRA INTERVISTA – Federico Barsanti

di FRANCESCO BETTIN     Regista, attore e coach, con la sua “Strategia Poetica” approfondisce l’arte del teatro e della vita

 

Attore, si’, certo, anche regista, ma anche coach, con un modo approfondito di pedagogia teatrale che sa aprire menti, scavare una nuova propria trasformazione, trovare visioni nuove. Che servono all’arte ma anche alla vita quotidiana. Ed è questo che Federico Barsanti fa da anni, invitando chi frequenta i suoi corsi ad avere una chiave di lettura per se stessi e con gli altri, approfondendo molto di sé, scoprendo legami, proprietà intime e private, che facciano scoprire il meglio di noi stessi. Un lavoro importante, necessario quanto basta, e che va di pari passo potremmo dire, anche con il teatro. Lo abbiamo intervistato, ci ha raccontato tutto di sè e del suo lavoro. Federico, buongiorno…Ci spieghi qual è stata la tua formazione? Da bambino pensavi già al teatro e alle sue forme varie d’espressione? Ho iniziato il mio percorso formativo attoriale (’92) con una grande attrice e artista, Raffaella Panichi, – alla quale sarò sempre grato dal profondo – formata al Piccolo di Milano e all’Accademia Silvio D’Amico tra fine anni ’50 e primi ’60. Formare le mie basi con lei è stato fondamentale e illuminante. Contemporaneamente e negli anni seguenti ho poi ampliato attraverso la danza classica e moderna, il teatro-danza, la Commedia dell’arte – in specie la maschera di Arlecchino -, il combattimento scenico con la spada, la voce e la fonetica e poi, negli anni duemila, ho “espatriato” incrociando percorsi di psicologia, psicomagia, metagenealogia, psicomotricità incontrando e lavorando con molti artisti, maestre e maestri, ma ho anche praticato sport, che mi ha dato un importante contributo, sia sotto un profilo mentale che corporeo, tennis, sci e kung fu shaolin (quest’ultima arte marziale). Includo nel mio percorso formativo una serie di viaggi importanti che mi hanno portato a profonde riflessioni, lunghe soste in USA, Inghilterra – Londra, Germania -e viaggi di conoscenza in territori di conflitto nei quali ho potuto rapportarmi con realtà di cui si sente parlare solo attraverso i media. Da bambino avevo in me vivo il desiderio e l’abitudine di calarmi nei panni degli altri, nell’inventare personaggi e facendo ridere i miei coetanei, ma anche, dopo, i professori alle scuole superiori: non avevo tuttavia mai pensato di intraprendere la strada del Teatro e l’incontro è stato per così dire “casuale e magico” quando ero già “grandino”. Avevo venduto un po’ della mia roba (l’auto e altre cose) per permettermi di andare negli USA per un viaggio in cui volevo scoprire realmente che cosa volevo fare/essere nella vita. Acquistai a L.A. una bici sulla quale mi spostavo in largo e lungo per la metropoli (da Hollywood a S. Monica a S. Pedro e via…), ho lavorato là in vari posti e ho girato gli States per mesi da solo, sul Greyhound Bus. Poi, una volta individuata la mia strada (“l’arte”) tornai in Italia, incontrai poco dopo il teatro e la scrittura con la quale avevo già preso un po’ di dimestichezza, poco dopo pubblicai il mio primo libro, raccolta di poesie. Sto parlando dei primissimi anni ’90. In seguito, tra le tante esperienze, mi trovai a fare da spalla ad un provino all’Accademia d’Arte Drammatica di Roma, ma essendo propriamente anarchico ed altamente egocentrico-eccentrico rifiutai la loro proposta di entrare pur non essendo un candidato ufficiale: dissi di avere “altri progetti in mente” (ah ah ah ah!); molti amici mi dissero se fossi letteralmente impazzito. In quegli anni mi appassionavo a sperimentare un sacco di esperienze, provini, casting, frequentazione di lezioni all’università pur non essendo iscritto, ecc. ma avevo principalmente in testa il progetto della Scuola di Recitazione. Poi c’è un altro fattore importante che ha contribuito alla mia sperimentazione pedagogica e attoriale: il mondo della rock music, il trasformismo, personaggi come Lou Reed, David Bowie, ma anche la forza prorompente e ribelle di Janis Joplin, Patty Smith, l’androginia pop dei primi Rolling Stones e tutto quel bellissimo mondo onirico intorno a figure come Tom Waits e Charles Aznavour, ad esempio. Per non parlare del mondo di Shakespeare, il mondo del teatro greco classico e di scrittori e scrittrici di ogni angolo del mondo… C’è molto d’altro, ma mi fermo qui. Hai creato il Piccolo Teatro Sperimentale, la tua scuola di recitazione. Si rivolge a tutti, o a qualcuno più in difficoltà? E cosa la differenzia dalle altre scuole? Il Piccolo Teatro Sperimentale mi fu lasciato nel 1995 dalla direttrice, Raffaella Panichi, che all’epoca voleva tornare a Roma, vicina alla sua famiglia e stava attraversando una profonda riflessione: io ero fuori di me perché non sapevo da che parte iniziare, ma accolsi e mi misi sotto. Negli anni la Scuola ha subito tante e tante trasformazioni: da scuola di formazione attoriale professionale solo per adulti a luogo di Benessere Teatrale per Adulti, Bambini e Ragazzi, a scuola che si occupa di aiuto verso le persone in difficoltà, viaggi in terre dove ci sono conflitti, viaggi in teatri esotici, teatro per persone con gravi disabilità, e ancora teatro nelle scuole, scambi pedagogici con tanti insegnanti provenienti da Italia ed estero e molto altro ancora. Non saprei dire se e quali possano essere le differenze con le altre scuole di teatro poiché ogni scuola di teatro è differente dalle altre, si identifica, riconosce e valorizza nel proprio territorio e storia, ogni scuola ha la propria filosofia, interessi ed identità, quindi non saprei proprio come rispondere se non che il mio lavoro artistico è incentrato a generare benessere partendo dal profondo usando come mezzi tutta la mia ricca esperienza professionale e personale insieme all’incontro con le persone e le loro storie. Hai scelto una strada formativa, di introspezione, pedagogica. Una forma e un cammino diversi dal percorso attoriale classico… Questa scelta è emersa fin dall’inizio, anche se i primi dieci anni sono stati incentrati sulla formazione attoriale più classica, anche se basata sul Teatro Sperimentale. Beh, a questo punto posso dire di aver lavorato con migliaia di persone, dai bambini agli adolescenti, dagli adulti alle persone con gravi difficoltà e disabilità; ci sono anche persone che, partendo dalla mia scuola, sono diventate molto famose, conosciute sia nell’ambito della musica che nel teatro e simili, a livello italiano e a livello internazionale. Il mio lavoro è eterogeneo, si apre un po’ a molte strade che si incrociano tra di loro costantemente e, se è vero che dedico molto spazio al benessere interiore dei partecipanti, ho dalla mia una formazione tecnica tale (dal cinema alla televisione, al voiceover, al teatro e via ancora…) che mi permette di “mostrare” sul momento come si “devono” fare le cose quando qualcuno mi porge una richiesta: ciò viene apprezzato, anche perché il mio lavoro è rivolto a differenti livelli, dal professionista già formato che vuole affinare al neofita che vuole avvicinarsi delicatamente. Sono più propriamente un artista in perenne via di (in)formazione. Ci sono professionisti molto affermati che ogni tanto vengono da me a “fare il tagliando”, dicono, ah ah ha ah! A proposito del teatro, che spettatore sei? E come lo vedi oggi, dopo il periodo della pandemia? Di cosa avrebbe bisogno in Italia? Il periodo della pandemia per noi artisti è stato letteralmente deleterio, una bufera che ha raso al suolo interi territori del nostro mondo! Uno sfacelo. E in tutto questo è emerso sempre più ciò che è evidente da decenni e decenni in Italia: l’arte è considerata cosa assai poco utile, solo passatempo, quindi “che ce ne facciamo?” Pensiamo alle istituzioni, in primis, non sono minimamente interessate a questo tipo di “bellezza”, a meno che non ci siano interessi egoici che vi ruotano intorno. E questo è un danno, grande, purtroppo. Durante il periodo Covid, d’altro canto, ci sono state anche molte cose che si sono attivate ed hanno aperto (forse) nuove strade e vie comunicative – grazie soprattutto a noi artisti che ci siamo messi lì ad inventarci qualcos’altro. L’artista ha il dono, forse, talvolta di vedere meglio. Per rispondere alla domanda “che spettatore sei?”, ecco, non vado a teatro da molto. Ho assistito a centinaia e centinaia di spettacoli in Italia e nel mondo nei primi 20 anni della mia attività: in giro per mezza Europa, per l’Italia, negli Stati Uniti, in Medio Oriente, tra Festival, Teatri, eventi di strada etc. Al di là della grande Magia che questa meravigliosa arte genera ad ogni evento, cominciavo ad annoiarmi seriamente a teatro negli ultimi tempi. Forse dovrei riprendere ad andare per vedere come stanno le cose adesso, ma in questa fase della mia vita mi sto dedicando in particolare alla famiglia, alla scrittura e all’attività artistica in giro con i miei spettacoli e stage. Trovo il teatro qualcosa di davvero meraviglioso in tutte le sue forme ed espressioni, ma negli ultimi tempi lo percepivo a volte autoreferenziale e un po’ ripiegato in se stesso al punto che mi sembrava stesse smarrendo una delle sue funzioni principali, ovvero quella di smuovere dentro le persone, scuoterle dal profondo, di farle riflettere su temi importanti –e non solo cosiddetti politici attraverso il “teatro civile o di denuncia” ad esempio, che rischia di trasformarsi comunque anch’esso in monologo autoreferenziale e saccente – svilendosi fino a diventare solo intrattenimento fine a se stesso. Ecco, ciò che vorrei trovare nel teatro nazionale italiano di adesso è coraggio (dall’etimo “avere cuore”) e distacco dal proprio ego. Il Teatro è insurrezione poetica, il Teatro dovrebbe smuovere almeno un po’ le coscienze e per farlo abbiamo bisogno di mettere in moto il coraggio che abbiamo dentro, posizionarlo in campo, magari rischiando qualcosa, altrimenti ci troveremo sempre più spesso davanti a spettacoli ben confezionati e cuciti su misura… insomma il “museo” che vedevo molto spesso. Oggi è il mondo del Social Network che impera su tutto e bisogna prestare attenzione, poiché si rischia davvero di fare una gran confusione. Ecco perché preferisco rimanermene a casa al momento. Anche la bellezza può essere destabilizzante, però da quel che so ce n’è in giro di Teatro che si occupa di questo, quindi, daje! Presto tornerò a Teatro! Cosa intendi esattamente quando affermi che per fare Teatro bisogna “partire dalla persona”? Accade questo: le persone che arrivano digiune ad un corso di teatro appaiono spesso come bambini indifesi e un po’ indisciplinati, sembra che siano in cerca di nuove forme di espressione per se stessi, molti cercano protezione/scampo dalla vita caotica che la nostra società ci impone ogni giorno; partire dall’ascolto della loro interiorità, quindi, da che cosa si può celare dietro la/le proprie maschere – persona – è il primo passo per creare “generosità”, cosa di cui oggi abbiamo gran bisogno. In effetti si tratta di compiere un atto di profonda comunione, di compassione verso noi stessi e gli altri, e ciò può aiutare a fare un primo passo verso trasformazioni interiori importanti. Per questo tanti anni fa scrissi che Per fare Teatro non si parte dal Teatro ma dalla Persona. Ciò vale anche per il/la professionista che viene da me: arriva con tutte le proprie sovrastrutture tecniche, il proprio simpatico bla-bla e compagnia bella, ma non appena la maschera si cala emerge la persona, quella vera intendo, e allora si inizia a creare per davvero. E lo si fa davvero insieme! La Strategia Poetica è una delle tue diramazioni artistiche. Come possiamo definirla? Sappiamo che è anche un libro… La Strategia Poetica nasce nel 2012, dopo 20 anni di lavoro nel teatro e dentro me stesso. Nel 2022 esce anche il libro (Strategia Poetica, PTSEdizioni) che si propone una riflessione sulle nostre vite egoiche che conduciamo quotidianamente senza esserne talvolta molto coscienti. E’ un po’ un nuovo punto di partenza del mio lavoro che non comprende, come detto prima, solo il teatro. In poche parole ci aiuta a metterci in ascolto dell’agire automatico – e deleterio, talvolta – del nostro Ego. Provo a fornire qualche informazione: la Strategia Poetica è un processo teorico e pratico di trasformazione, è una Disciplina Artistica Interiore. È azione, riconoscimento e neutralizzazione delle pressioni/credenze con cui l’Ego ci tiene costantemente al guinzaglio, è l’Incontro con il nostro Poeta Interiore, quella presenza che, se conosciuta e lasciata libera di agire, può guidarci con saggia/sacra follia nella vita quotidiana. A sostenerci nel cammino sono principalmente: l’Arte Recitativa (ri-trovarsi e mettersi in azione utilizzando tecniche teatrali), la Storia dell’Individuo (ri-costruzione di punti/ponti di collegamento tra passato, presente e futuro), la Natura (ri-scoperta e integrazione di un legame indissolubile e meraviglioso), la Semplicità (libero fluire sganciato dagli “affari” univoci dell’Ego). Lo scopo è fornire chiavi di lettura e strumenti pratici per acquisire una consapevolezza poetica nel nostro quotidiano, per avvicinarci a spazi d’azione nascosti, per aprirci ad un nuovo modo di vedere e dunque di vivere ogni aspetto della quotidianità (lavoro, denaro, legami affettivi e famigliari, rabbia e conflitti, passato, morte, timori del futuro…). Ho creato corsi di gruppo e/o incontri individuali (anche online, ci sono persone da tutta Italia e anche dall’estero che fanno questo bellissimo percorso con me su Wa) e i risultati sono tangibili e potenti. Il teatro andrebbe insegnato a scuola, secondo te? Come arte formativa quanto è valida per l’individuo? Insegnare Teatro a scuola è come voler insegnare sport o danza a scuola. Funzionerebbe? Mah, si tratta di un discorso molto delicato e complesso e che può essere facilmente frainteso. Credo che fare escursioni per “mostrare” la valenza e le possibilità che questa meravigliosa arte può proporre, come già succede attraverso progetti, sia proficuo, ma il Teatro si deve fare in altri luoghi, assolutamente. Questo vale per ogni attività (pensiamo agli sport e immaginiamo i luoghi in cui si svolgono). Quindi per me il Teatro è qualcosa che dovrebbe rimanere in definitiva extra scolastico. Il teatro va “cercato”, sudato, non è un passatempo, un hobby. Per ciò che riguarda la validità formativa per l’individuo c’è poco da discutere: il Teatro è cura e proposizione, amore e disciplina, stimolo e riflessione, è Arte, quindi sofferenza e bellezza, dolore, fatica, un atto di ribellione poetica trasformativa, insomma. “Signora Porzia” è un tuo personaggio; ci parli di lei e del suo “messaggio” ? Attraverso i tanti spettacoli e personaggi che ho “vestito” in questi anni, ad un certo punto della mia storia ho incontrato Signora Porzia. Io e mia moglie (Valentina Gianni, attrice-performer-doppiatrice e cantante) abbiamo cominciato a lavorarci per definire il personaggio. Si tratta di qualcosa di veramente unico nel panorama del teatro nazionale ma non solo. Questo personaggio, una maschera meravigliosa e anche un po’ destabilizzante inizialmente, smuove nel profondo il pubblico, compie dei veri e propri riti iniziatici che le persone vivono con grande intensità e gioia. Lo spettacolo è andato già in giro per molte città italiane e Festival – tra cui il Festival Dei Due Mondi di Spoleto dove ha riscosso molto interesse durante le due repliche, la prima sera la sala era al 70%, la seconda sera molte persone sono rimaste fuori- ma anche a Berlino, e in ogni dove con pubblici sempre molto diversi, l’ultima volta, due settimane fa – a Longare, Vicenza – c’era un pubblico che non aveva propriamente idea di che cosa si sarebbe trovato di fronte, pubblico composto da molte persone ultra settantenni, fin oltre gli ottanta; ecco, è il caso di dire che è accaduto di tutto! Si tratta di uno show teatrale liberatorio, trasformativo, fuori dagli schemi, una giornalista lo ha definito una “psicoanalisi collettiva”. Non c’è da spaventarsi, anzi, ad ogni show anche le persone più reticenti si lasciano andare e si compie la magia e la potenza del Rito. Il messaggio di Porzia è semplice e potente, in poche parole potrei dire che Lei ci mette in ascolto con il nostro profondo e con la vita che conduciamo quotidianamente per compiere poi un passo verso una libertà interiore, verso una visione di comunione e trasformazione. Di certo i suoi spettacoli sono unici, irripetibili, poiché ognuno diverso dall’altro in base al pubblico che si trova in sala, accadono cose sorprendenti ad ogni replica. “C’è bisogno di questo teatro oggi” dicono tanti spettatori alla fine dello show. E se ne vanno via con le facce da bimbi! Una dottoressa, qualche mese fa dopo una replica a Ferrara è venuta nel camerino e mi ha detto “il tuo teatro cura, aiuti le persone a curarsi, dovremmo proporre questo spettacolo anche per le persone con gravi malattie”. Certo, dal punto di vista attoriale andare in scena con un personaggio del genere è una follia poetica pura, uno sfinimento fisico, infatti penso sempre al teatro di A. Artaud, quando penso ad una possibile definizione per questo spettacolo. P.S. Esiste anche il libro di Signora Porzia “Ricette per la Felicità”, un piccolo manuale da portare con te ogni giorno: include 150 aforismi porziani. Lo si trova online. Il teatro come formazione, cultura, anche terapia. Quanto e come pensi serva, magari partendo dai giovanissimi. Che insegnamento può dare all’individuo? Per i giovani è importante avvicinarsi al Teatro, anzi esagererei se dicessi che dovrebbe essere una cosa da provare ad ogni costo? Anche se in genere i giovani non sono così propensi a farlo, inizialmente, poiché credono spesso che il Teatro sia sinonimo di… Noia. E come dargli torto? Però se si riesce ad avvicinarli, i ragazzi e le ragazze si buttano liberi nel mare della scoperta e per loro è un mezzo fenomenale e “naturale” per scoprire i meccanismi del proprio interiore e come rapportarsi con il mondo esterno. Il Teatro, per loro, è anche un mezzo strepitoso per relazionarsi meglio con la scuola, i loro coetanei, il mondo degli adulti, l’avvicinarsi a “quel” futuro tanto terrorizzante. Ho assistito ad autentici, piccoli miracoli lavorando con i giovani. Io faccio lavorare i bambini e i giovani anche con i tarocchi marsigliesi, accadono cose letteralmente fantastiche e potenti; ai bambini di 4- 5 anni propongo la Divina Commedia o poeti e poetesse come W. Szymborska o Leopardi o E. Dickinson: loro prendono e “riscrivono” con le loro menti profondamente poetiche. Favoloso, terapeutico, educativo, culturale e …strategico poetico!

Ecco, questo è Federico Barsanti, uomo di teatro a tutto tondo, cultore e formatore, uomo che ama e vive il teatro nelle sue diverse forme. Perchè il teatro va colto nella sua fragranza e vivacità, nel suo profondo atto.

Per approfondire di più,  www.piccoloteatrosperimentale.com
Pagina FB e Instagram Federico Barsanti  –  Riferimenti tel. 327-7461758

sotto, alcune immagini di Federico Barsanti,  che vediamo anche nei panni di Signora Porzia

   

3 commenti su “NOSTRA INTERVISTA – Federico Barsanti”

  1. Bellissimo … Federico complimenti sei davvero unico e confermo Signora Porzia è esilerante..io lo conosciuta un pelino prima del COVID ed è stata una bomba di emozioni….poi il COVID altra bomba ma tutt’altro che fresca come Porzia… Grazie Federico

  2. Nella mia vita è stato l’incontro formativo più importante. Ha cambiato il mio modo di vivere accettando gli eventi x quello che sono senza strafare o eccedere per cambiarli ma semplicemente viverli. Federico è un artista completo ed ha una grande capacità quella dell’insegnamento non così scontata per chi si definisce maestro. È portatore di bagagli stracolmi di esperienze che non esita a donare, condividere. La sua serietà, la disciplina , l’onestà e anche il suo ego sono stati esempi per il mio percorso. Adesso io sono una signora di una certa…non faccio più teatro ma Federico Barsanti è srato e sarà sempre il mio Maestro!

  3. Mariapia Frigerio

    Bellissima intervista! Mi vergogno di aver trovato il tempo di leggerla solo ora, ma, appunto volevo del tempo libero dai vari “accidenti” per potermela godere parola per parola. Bella l’intervista e bravissimo Federico che ringrazio anche per avermi citata nella mia definizione dello spettacolo Signora Porzia come “psicoanalisi collettiva”…

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