POESIA – Rodolfo di Biasio

di ALDO GERBINO     Rodolfo di Biasio “Tutte le poesie” 

 

L’esergo al volume di Rodolfo Di Biasio che accoglie “Tutte le poesie” dell’autore di Ventosa (1937-2021) – territorio dischiuso all’ampiezza azzurrina del Golfo di Gaeta – è firmato da Giuliano Manacorda. Tratto da una pagina critica del 1999, lo storico della letteratura italiana mette in risalto in che modo esistenza e poesia facciano parte d’una stessa parabola: l’affermare l’irraggiungibilità dello stato felice. Ecco allora il bisogno del recupero, nell’effervescenza del restauro spirituale, di ogni frammento di gioia quotidiana. Tutto connota l’ampiezza della poetica di Rodolfo (scrittore, critico, narratore RAI), espansa, nella cautela di una spontanea filologia, dal lungo tratto novecentesco fino ad oggi, disegnando un’ellissi dispiegata versonuovi esiti di equilibrio sul consolidato registro linguistico. Un quaderno di vita (Ghenomena, 2021) qui addensato in versi aperti nei decenni: dal ’60/’70/’80,  con “Caino”, “L’Eliso non è più” e “Tre canti per Mosè”, poi, con “Le sorti tentate”, “I ritorni”, e, dagli anni ’90, con “Patmos”, “Poemetti elementari”, per approdare, nel 2008, con “Mute voci mute”. Un poeta che si muove, sin dall’inizio, con passi definiti “obsoleti”, cioè non dimentichi di una fruttuosa trasmissione arcaica dei valori umani configurati nell’agonica civiltà agropastorale (si pensi a Gino Gerola, il poeta di “Quartiere”), nell’emigrazione, nel nomadismo intellettuale, e attento al pianeta Terra di cui avverte gli incombenti pericoli nell’indecifrabile spessore del tempo. Un segmento creativo segnato da quelle ‘Poesie dalla terra’ in cui si dichiara, con accorato trasporto, quanto gli pesi «la desolata pianura di sale | la montagna disboscata | l’agonia di chi cade». I versi, ordunque, diventano «poesia della notte lunare», mentre i «pascoli seviziati dal cemento» rassomigliano sempre più all’agnello sacrificale, a quell’antico tragico rabbioso colpire di Caino contro il fratello. Il mare, il profondo amnios, è pervasivo paesaggio dello spirito: scorre lungo piste oceaniche speranzosamente aperte alla supremazia dei sogni, al vaglio dei desideri, a voler staccare ogni stella capace di «abbellire una povera morte», così «le foglie per il lenzuolo funebre» affinché «la rugiada sia  tenero pianto». E se  il calarsi  nella dimensione del sacro dei “Tre canti per Mosè” (‘Lamento’, ‘Rivelazione’, ‘Esodo’) tracciano, con parole drammaturgiche, l’incarnarsi del riscatto della terra, è nell’uomo che la vive che si mostra l’ascesa al cielo, il mantello biblico dei fatti, il formulare salvifiche allegorie sul nostro presente. Parole che, se in Eduardo De Filippo possiedono un preciso colore (“’E pparole”), per Di Biasio «hanno età, connotazioni», e «pronunziarle ed essere ascoltati | è una ventura che tocca l’uomo | solo una volta, | e nella stagione giusta». Una poesia che ha conosciuto “partenze e ritorni”, incapace di cancellare il volto della guerra, lo sguardo assente dei «morti | che i soldati portavano a dorso di mulo | a macerare nella scarpata». Tale sentire, Rodolfo lo conferma a noi nella purezza emotiva dell’inserto inedito del 1958 “Niente è mutato”, il ricordo, la stessa vita. Essa: una «marea che scema».

in alto – la copertina del libro

 

Poemetto del vento e del silenzio

1

Dove il silenzio può essere anche

nei molteplici gridi delle vie

nella desolazione

di questi incontri abitudinari

Come cresce il silenzio

e scalza e annoda

si fa un po’ curvo l’occhio

 

l’occhio si curva

traccia il suo spazio.

che nulla sommuove più

 

Si piega quest’ultimo mare

chiedergli le sue variazioni

dove e come incalzi dentro la sua vita

o le morti

poi la rosa dell’alba

e il suo raspio trenodico

stanche sue modulazioni

 

Il respiro della terra

che l’occhio più curva riduce a poca cosa

l’isteria della foglia nel vento anche la voce del vento

la sua voce atona

2

Con i molti pensieri chinati

qui, dal mare, la luce scioglie

la sua splendidezza

e i passi e l’aria

la terra, la poca terra si disfa

in un arco

il grido della nascita

la luce del mare

e l’ora del crepuscolo

quella che filamenta d’ombre

infinite creature

 

la dispersione altro non è

 

Si chiude

dolorante si sbianca il sangue

si consegna la terra

ad un brano di vento

 

Passeggiammo il luogo dei superstiti

dispare l’ultimo nitore d’acqua del mare

e una notte coniuga

la giovinezza di alberi dai rari rami

3

Il silenzio – quello che scende ora

per i sassi li lega alla terra

e fa immobili teneri querceti –

ora non altro che il silenzio

 

della terra e del mare

e dentro le voci che si assommano

abitudinarie

le desolate presenze del silenzio

in quest’ora lunare

Con i molti pensieri chinati

passeggiamo il luogo dei superstiti

si raggrinza il cuore le sue ombre

e una quietudine di foglie

nate da poco

Nella mano si sperde il vento

il suo soffio al di là

distilla la primizia dell’alba

 

 

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