al CINEMA – “Takeaway” di Renzo Carbonera

La strategia negativa del rimettersi in corsa tocca da vicino i protagonisti. Nel luogo desolato il destino ha già deciso la strada, e“Takeaway” fa riflettere non poco

 

Ha il sapore dell’ultima sfida, vissuta, combattuta fino allo stremo, l’avventura dei protagonisti di “Takeaway”, secondo film di Renzo Carbonera (dopo “Resina”) che vede tra gli interpreti Libero De Rienzo, Carlotta Antonelli, Primo Reggiani, Anna Ferruzzo, Paolo Calabresi, distribuito da Fandango e ora nelle sale italiane. Una sfida che è, per forza, da vincere e visto che la cosa è forzatamente esasperata, sbatte contro il muro. Non tanto Maria, marciatrice, quanto il suo fidanzato e allenatore (De Rienzo, qui alla sua ultima, emozionante interpretazione) e suo padre (Calabresi) sono i principali sostenitori del progetto che vuole vedere la giovane atleta ritornare in pista con strenui allenamenti per vincere, perchè a detta proprio dell’allenatore, “la sola morale è il podio, la medaglia”. Ma non bastano i duri allenamenti, il giovane amato e allenatore cerca in tutti i modi attraverso personali conoscenze e metodi poco ortodossi, cioè usando il doping, di portarla a una ribalta da lui sfiorata in passato, proprio a causa di errori di comportamento. A provare a rimettere su un piano equilibrato la questione è la mamma di lei (Anna Ferruzzo, giustamente attenta alle sfumature interpretative), tentando di farlo, e di ridare luce all’albergo di famiglia che ha vissuto tempi ricchi e belli, ma è appena caduto in disgrazia (siamo agli inizi di una crisi globale, nel 2008, che segnerà da lì in poi un’epoca a quanto pare), perchè anche lei ascolta anche se con la lungimiranza femminile le volontà dei due uomini. A far da conferma entra un altro personaggio nella storia, un ex atleta che fa l’imbianchino e che è stato allenato proprio dal fidanzato di Maria a suo tempo, e conosce bene la sua mentalità. Tutto è ambientato in un mondo che sembra esser troppo lontano dalla realtà, dove la quiete e la tranquillità influiscono non poco, e svoltano in senso negativo l’agire dei personaggi. Anche l’ombreggiare di alcuni ecomostri fa ben intuire l’ambiente probabilmente non troppo ideale, dove c’è un annientamento fuori tempo, un’estraneità ricalcata che si contrappone. In una storia così va quasi da sè che il rischio è grande, incalcolato, molto presente, e che non può aver risvolti positivi. E’ un film, questo, che va a sottolineare come il doping influenzi le vite, annacqui per nulla sportivamente gli ambienti sportivi e le anime delle persone, anche se come appare nei titoli finali sono moltissimi, in percentuale quelli che almeno una volta lo hanno usato. Una pellicola che fa riflettere, e ce n’è sempre bisogno, sui propri comportamenti e su quelli degli altri così vicini a noi, sulle azioni sporche, sull’essere umani ma in maniera degradata e poco in equilibrio. Il regista ambienta tra il Trentino e la montagna del Terminillo, nel Lazio, con grande sicurezza, piglio deciso e meditativo, e fa recitare al meglio gli attori, soprattutto appunto Anna Ferruzzo, la madre di Maria, e Libero De Rienzo, che sempre più stava facendo venir fuori la sua giusta indole d’interprete poliedrico, e che è un vero dispiacere aver perduto, detto senza retorica alcuna. Il suo sguardo di uomo arrabbiato col mondo, col suo personaggio, è tutto da vedere. Un po’ più in ombra a mio modo di vedere è Paolo Calabresi, che non sempre è a suo agio in questi panni, come Carlotta Antonelli e Primo Reggiani del resto, nonostante i tre diano una buona prova delle loro capacità. Completano il cast Camillo Grassi, Ivan Polidoro, Camillo Ventola. La fotografia di Luca Coassin è ben adattata, e le musiche di Alexander Hacke sono sofferenti, diagonali, sferzanti come devono essere. “Takeaway” è prodotto da 39Films, Interzone Pictures, con Rai Cinema, il contributo del Ministero della Cultura, e il sostegno della Regione Lazio e di Trentino Film Commission. Rimane l’amaro in bocca alla fine, quella sensazione di non completamento, di approssimazione del proprio desiderio che la fa da padrone, che è sconcertante.

FRANCESCO BETTIN

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